Morire per delle idee, un vizio poco cristiano

"Morire per delle idee, l'idea è affascinante", cantava George Brassens in un pezzo poi splendidamente tradotto da Fabrizio De André nel 1974, quando a morire erano innocenti, bambini e infine anche politici; quando le ideologie iniettarono la violenza di sangue nella nostra Italia, un po' impacciata e ancora incredula per il boom del decennio precedente. Ma morire per delle idee è sempre possibile. Ce lo ricorda, tristemente, Dominique Venner, intellettuale francese, che il 21 maggio si è sparato un colpo in testa nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi. Tremendo. Ed è un gesto ancora più significativo perché viene da un anziano e da uno scrittore; è un gesto politico, come lo erano il suicidio di Yukio Mishima o del giovane studente di filosofia Jan Palach, la cui matrice, forse, era simile: la "rivolta contro il mondo moderno", per dirla con Evola, ovvero quel rifiuto del continuo mutare del mondo, che nel suo scorrere pare piuttosto cadere, come un'alta cascata sudamericana, dal piano dei valori della tradizione europea al nichilismo più bruto. Quel grido spezzato nella gola di Venner rappresenterebbe allora un sentimento di attaccamento ai valori dell'Europa e che nelle sue intenzioni  - come scrisse nella sua ultima lettera - avrebbe dovuto "smuovere le coscienze" di un mondo che non sa più seguire la bussola della Verità. Ma quanto questo gesto estremo può pretendere di incarnare lo spirito della tradizione europea?

Difatti, seppur sostanziato da un fondamento tradizionale, il suicidio di Venner indica piuttosto la foga dell'ideologia moderna che non sa dare alle cose il "giusto" peso, che non rispetta la vita. Chi sacrifica la propria vita in virtù di un'idea svela forse una concezione che è molto poco cristiana: per Venner, difatti, ciò che contava era la vita sociale di questo mondo, erano le sue abitudini etiche, era la sua politica; ma Platone e il Cristo non hanno forse insegnato proprio l'inverso, ovvero che ciò che conta è lo Spirito e non questo mondo? Non ci hanno forse ammonito nel dare un modesto peso alle cose terrene, anche quando esse paiono opporsi alle cose divine? Più che levare la mano su di sé, allora, il custode della tradizione cristiana e filosofica europea sa fare testimonianza in questo mondo con l'azione e la vita - a immagine della Chiesa di Roma. Chi invece giunge a posporre la vita alla politica è colui che ha perso la fede nella seconda venuta e nell'Apocalisse. La civitas Dei non è infatti attuabile in questo mondo, ma è soltanto peregrinans: annuncia la venuta, testimonia con la propria carità, si dona agli altri portando luce nelle tenebre; e chi cerca di seguire la chiamata (Beruf) non può far altro che sperare in essa e contribuire a diffondere, grazie allo speculum nella propria anima, la luce della Verità nel mondo, anche se il mondo vi lotta contro e li perseguita, come accadde alle prime comunità cristiane. Venner, forse, più che allievo del Cristo era allievo del barone Evola: di chi, convinto di ergersi ad alfiere dell'epoca passata, rappresenta invece il massimo della modernità secolarizzata perché crede che l'agire di un cristiano sia finalizzato esclusivamente a questo mondo e per questo mondo dà la vita. Il cristiano, invece, non abbandona questo mondo, perché in esso è chiamato alla testimonianza in attesa della Redenzione.

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